"Domenica andiamo a fare il Cadin degli Elmi, vieni via?"
Ricordo benissimo la voce di Mariano che riecheggiava nella stanza. Non sapevo ancora molto di montagna, mi affidavo alle scelte dei grandi, di chi aveva deciso di portarmi appresso per istruirmi in quella passione che mi stava attanagliando in maniera sempre più forte.
"Eh! Magari. questa domenica dovrò passarla sui libri, lunedì ho una verifica"
C'erano ben poche cose che mi distoglievano dalla montagna: una di queste era il professor Bertolini, insegnante di Scienza delle Costruzioni. Da una parte affascinante oratore che riusciva a rendere affascinante il calcolo di travi e pilastri, dall'altro freddo e spietato nei compiti ed ancor di più nelle interrogazioni alla lavagna, che, nel caso di compiti insufficienti, erano ineluttabili. Fu così che, per evitare una lenta agonia davanti ad una parete nera, rinunciai ad una cima in quella zona mitica che erano, al tempo, le Dolomiti d'Oltre Piave.
Vent'otto anni dopo, superata la verifica ed evitata l'interrogazione alla lavagna, è venuto il momento di salire Il Cadin degli Elmi. Tempi lunghi? Forse si, ma nel mentre si sono realizzati molti sogni e progetti, e come disse al tempo il buon Gianluigi "prime si studie, dopo si va ator".
L'aria di Pian Fontana è frizzantina nel primo mattino, e mentre il Vecchio Nile strizza gli occhi per curiosare, seminascosto tra le crode che lo circondano, prendiamo la direzione della Val de Santa Maria. Lasciata la pista forestale per il sentiero che si inoltra nel bosco, saliamo lungo la forra, accompagnati dal canto del ruscello.
Con Nadia ho barattato una salita più lunga con una sveglia più consona alla mia vena eterea di pigrizia, per cui lasciamo forestieri ai nostri occhi i sentieri che dal rifugio Padova salgono a Forcella Spe. Ci inoltriamo lungo il fondo della valle, fino ad attraversare il rio che lo percorre e a risalire un costone boscoso che porta ancora le ferite di Vaia. Gli schianti sono molti, ma qualche mano è passata armata di buona volontà a liberare il passo. Saliamo nel fresco sottobosco, e dopo un breve traverso, rientriamo nella valle. Il sentiero perde quota con dolcezza, e quando ricomincia a salire, incorniciata tra i rami, ci appare, lontana e solitaria, la forcella.
Ci viene naturale un desolato incrocio di sguardi: "fin là ci vanno ancora un paio d'ore". Sembra quasi impossibile, sembra già di toccarla. Continuiamo lungo il sentiero, attraversando un paio di volte il greto, ora su ghiaie dure, ora su un morbido tappeto di foglie all'ombra delle chiome, ora su un esile via tormentata dall'abbraccio dei mughi. Si rincorrono i passi, come le nuvole che ci proteggono dal sole d'agosto, mentre la sella sabbiosa ci attende. Ormai è questione di poco, a giudicare dall'aria fredda che scende verso la Cimoliana. L'ignoto e pacifico versante cadorino si apre ai nostri piedi. Il vento freddo ci invita a continuare verso il bivacco Gervasutti, lungo un sentiero che rimane protetto. Lasciamo le ghiaie dure dell'alta Valle de Santa Maria per scendere nel catino che cinge di verde il rosso bivacco.
Rimandiamo la visita a dopo lo cima, e seguiamo la traccia che dal catino sale ai ghiaioni che portano alla forcella di Santa Maria. La via è intuibile, e qualche stanco ometto accompagna lo sguardo ed il passo. Giunti in forcella indossiamo il caschetto ed iniziamo a salire lungo il primo canale. La roccia e discreta, anche se è presente del detrito, e con tratti di arrampicata facile e divertente, e mai esposta, arriviamo alla grande terrazza erbosa mediana, risalendola fino alla basse delle rocce sommitali. Ancora qualche passaggio non difficile e raggiungiamo la cima del Cadin degli Elmi, con la sua doppia croce di vetta.
Un turbinio di nuvole tutt'intorno gioca a nasconderci alla vista le cime vicine, ma la giornata è lunga e non abbiamo fretta. Forse indispettito dalla nostra pazienza, di tanto in tanto ci concede qualche scampolo di croda, senza mai svelare il tutto.
Con attenzione torniamo sui nostri passi ed in breve siamo nuovamente in forcella, ed ancor più velocemente scendiamo le ghiaie fini che ci riportano al Gervasutti. Firmato il libro e fatto merenda ci prepariamo al ritorno ma...
Ma il sentiero Marini? Dal libro pare che un escursionista tedesco sia giunto qui dal Pordenone, ma non riporta impressioni. Ci guardiamo negli occhi, guardiamo in lontananza il sentiero che continua verso il Pordenone. Ci riguardiamo negli occhi... E andiamo a vedere questo sentiero Marini. Gia nel 2012 scrivevo di una selvaggia accozzaglia di ghiaie sospese, ora chissà.
Girato l'angolo ci troviamo di fronte cima Talagona, ai piedi delle cui balze il sentiero corre tranquillo, ma prima.. Vado avanti a vedere. L'ambiente è quello che mi piace, aleatorio, solidità sospesa sul nulla. Avanzo ancora dopo qualche tratto esposto, fino ad arrivare ad un pulpito di terra e ghiaia, dura e slavata dalle piogge che non offre presa. Sento la voce di Nadia che mi chiama. A malincuore, con l'acquolina in bocca, devo riconoscere che il passaggio non è sicuro e torno indietro. L'avventura oggi finisce qui.
Risaliamo verso Forcella Spe: la lunga strada del ritorno si presenta ai nostri occhi. Caliamo lungo le ghiaie che ci accompagnano verso il fondovalle, laggiù, nascosto ai nostri occhi Pian Fontana.