Il giro ci prenderà due o tre giorni, poi probabilmente ci fermiamo su a Sappada
Qualche attimo prima che suoni la sveglia mi tornano in mente le parole che dissi a mia mamma, prima di uscire dalla porta, richiudendola senza fretta, lasciando alle spalle, nel primo pomeriggio di fine dicembre, il calore dello spolert in cucina.
Al tempo mi sembrava una spiegazione valida: davo delle indicazioni su dove andavamo, con una tempistica stimata a occhio, e con un margine temporale che, nelle feste di fine anno era molto elastico e che dava spazio a varie interpretazioni. Ero certo che non si sarebbe preoccupata. Almeno cercavo di crederlo.
Suona la sveglia e faccio un balzo in avanti di quasi diciotto anni. Tanto è passato da quando sono passato da quei luoghi. Salimmo in auto fin quasi su al Calvi, accompagnati dal cugino di Davide. Mentre cercava di far inversione con la piccola jeep sugli ultimi tornanti ghiacciati prima del rifugio, cercando di non prendere le direttissima per il fondovalle, noi, completamente estranei alle sue imprecazioni, stavamo discutendo se portare o meno la tenda. Alla fine portammo con noi solo una pala da neve.
A Pierabech l'aria è pungente mentre ci incamminiamo verso la Stretta di Fleons. Il sole del primo mattino illumina le nostre mete, mentre chiudo fin sotto il mento il pile. I passi salgono leggeri, mentre la mente corre ancora indietro negli anni. Usciti nei prati di Casera Sissanis la lunga cresta del Fleons si presenta davanti allo sguardo, carica di bianchi ricordi.
Proseguiamo verso i ruderi di Casera Sissanis di Sopra, e da li per traccia evidente, ci inoltriamo nel bosco di larici verso lo scheletro di casera Creta Verde.
In fondo alla Val Fleons sonnecchia la sella verde del Giogo Veranis. Li ebbe inizio la nostra cavalcata lungo la dorsale che ci avrebbe portato al Passo Val d'Inferno. A vederla, oggi come ieri, sembra eterna, e lo fu davvero. Inverni freddi che affrontavamo spavaldi e, a volte, con una misera consapevolezza, propria della sete, selvatica e giovane, di avventura, la stessa che mi fa amare e temere l'idea che questa passione si radichi in mio figlio, come in me.
Iniziamo la risalita per ripidi verdi verso il Passo dell'Agnello: neri ometti segnano la via lungo i pendii di lunga erba gialla. La meta continua a pararsi davanti agli occhi, quasi a farsi beffe delle nostre fatiche. Passo dopo passo risaliamo il pendio, più o meno lungo la massima pendenza, e dopo un ultimo tratto dove l'erba è insidiosa, raggiungiamo l'intaglio tra le due cime.
I prati soleggiati hanno fine quassù, dove il vento freddo che soffia da nord porta il gelo della neve, che ancora abbraccia il versante settentrionale della montagna. Risaliamo la dorsale verso la Creta Verde, spazzata dall'aria pungente, che ci lascia quando ripieghiamo a sud, su pendii ripidi ed erbosi, fino a raggiungere la piccozza che ne adorna la cima.
Con lo sguardo che spazia dalle Dolomiti ai Tauri ripercorro la cresta con gli occhi. Ed i pensieri tornano ancora indietro nel tempo: la luce del giorno andava spegnendosi e stavamo scendendo, in qualche maniera, dall'Edigon, cercando un posto dove bivaccare. Ma oltre che spavaldi eravamo pure schizzinosi, "no chi, no li" d'improvviso si accesero le frontali, e decretammo che quel posto, da qualche parte a est della cima, andava bene, fu così che potemmo mettere in pratica la teoria della truna di neve. Faceva tanto Patagonia e devo dire che, come sempre, dormimmo alla grande.
Dopo un te caldo riprendiamo il sentiero di salita, ripercorrendolo a ritroso, mi giro verso Nadia, che si staglia controluce, e andiamo incontro al vento gelido. che sale dalla Obergailertal, mentre le ombre delle cime si allungano verso il fondovalle. Raggiunto nuovamente il Passo dell'Agnello saliamo velocemente lungo le attrezzature del Campanile Letter, ed in breve raggiungiamo la grande croce di vetta. Un proietto, che ne trapassa il cuore, reca, in tedesco, le parole "mai più".
Il vento si è calmato e ci godiamo la cima con calma. Il cielo limpido e l'aria tersa amplificano la bellezza di quanto l'occhio coglie. Lo sguardo vaga lungo il filo di cresta che, attraverso il Cjastronat porta al passo Val d'Inferno. Ho un vago ricordo di quanto abbiamo desiderato raggiungerne la piatta quiete. Il sole, il vento e il riverbero bruciavano la pelle. La stanchezza iniziava a farsi sentire e il desiderio di sedersi al caldo diventava sempre più forte.
Ora invece mi desto dal mare della memoria e guardo il fondovalle con un velo di tristezza. Una volta scesi si aprirà un periodo triste ma necessario. Guardo fino all'ultimo le cime più lontane, riponendole con cura nel cassetto dei ricordi. Per qualche tempo ce ne ciberemo nei momenti di nostalgia.
I passi scendono veloci fino al silenzio di casera Creta Verde, poi con calma attraversiamo il bosco di larici gialli e rossi fino casera Sissanis. Il sole scende dietro al Clap e noi apriamo le porte del bosco di ombre.
2 commenti:
Eloquenti le immagini di questa salita e i vostri sorrisi appagati da tanta bellezza. Interessante e divertente anche il viaggio con la macchina del tempo, unici l’azzurro e l’ocra che colorano il cielo e i prati d’’autunno ma, su tutto, vince la frase di chiusura…”…e noi apriamo le porte al bosco di ombre”…il “Poetista” colpisce ancora!
Ciao ragazzi, sempre grandioso seguire anche solo virtualmente i vostri passi. State bene.
laura
Ciao Laura,
grazie, le tue visite virtuali e le tue parole ci fanno sempre veramente piacere!!!
Un abbraccio virtuale,con la speranza di rivederci ancora dal vivo!!!
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