Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

sabato 29 agosto 2020

Sentiero Zandonella, Spalla del Duranno

Dalla pianura ha una visuale privilegiata: appena ti avvicini a "l'aghe" lui fa capolino, ricordandoti la sua presenza. Isolato e possente, col caratteristico becco. 

E' lui, il Duranno.

Per me ha sempre significato solitudine e ambiente selvaggio.

Quando abbandoni Erto e ti inoltri lungo la Val Zemola senti che non sono luoghi normali. Saà l'abisso che percepisci oltre il bordo della strada, sarà la fatica umana di cui sono intrise le pietre di Cava Buscada, ma niente come il Duranno, assieme alla gioia di essere al suo cospetto, ti infonde un timore reverenziale.

Un cielo scuro e lattiginoso chiude il cielo sopra Casera Mela, mentre imbocchiamo il sentiero che sale al rifugio Maniago. A tratti si indovinano le crode che fanno da contorno alla valle, ma forse sono solo effimeri miraggi che vogliono prendersi gioco di noi.


domenica 23 agosto 2020

Dalla Ferrata Italiana alle Cime Verdi, tra Stelle Alpine e solitudine

Voci e rumori giungono attutiti dalla posizione privilegiata in cui ci troviamo. Osserviamo dall'alto della  dorsale delle Cime Verdi le persone che si aggirano lungo l'altopiano, alla base del cupolone del Mangart. 

giovedì 13 agosto 2020

Castrein, terminando l'Anita Goitan

"Ma poi, il sentiero si allarga, vero?"

Il sorriso imbarazzato di Silvia precede la sua risposta negativa. Lei, che quassù c'è già stata con Diana un paio di anni fa, ricorda bene questo tracciato, la tensione durante la salita, la preoccupazione per l'amica. Le stesse emozioni che provo oggi io, più per me stessa che per le due amiche che mi accompagnano: come me sono concentrate a dove mettere i piedi, ma più tranquille della sottoscritta!

mercoledì 12 agosto 2020

Anita Goitan, l'unione fa la forza

Ci sono percorsi che rimangono in lista per molti anni.

L'Anita Goitan era uno di questi. Sarà che il dislivello da fare era consistente e meritava allenamento. Sarà che proprio non ci andava di pernottare al rifugio Corsi. Come la salita al Jof Fuart, era una chimera, un desiderio nel cassetto...

martedì 4 agosto 2020

Ago di Villaco, spigolo sud

Dell'ultima volta che salii su quella che, per me, è la guglia più bella delle Alpi Giulie ricordo il freddo, un grande momento di gioia e uno di piacere. 
Era l'alba del 6 gennaio del 2000 e la temperatura era di molto sotto lo zero. Uscii dal bivacco invernale del Corsi avvolto in una coperta, con la tazza del te in mano, facendo attenzione a non scivolare sul ghiaccio. Mi pareva che il freddo mi rallentasse il pensiero.
Rientrai posando la tazza vuota vicino al fornelletto e mi rintanai nel sacco a pelo: dagli altri sacchi delle voci confuse chiesero qualcosa che non capii. Risposi che il sole sarebbe arrivato tardi ed era meglio aspettare per muoverci: un silenzioso assenso si diffuse come il profumo del tè. Il freddo era pungente e mi rintanai ancor di più nel caldo abbraccio del sacco.
Questo era un grande momento di gioia.
Un paio d'ore più tardi il tè nel pentolino era freddo e con una piccola crosticina gelata: mentre riprendeva vigore il bollore, sbucammo fuori dal bivacco e l'Ago era splendido: nella luce fredda di metà mattina, che donava una solenne maestosità alle sue rocce ammantate d'ermellino, aveva un aspetto magico.
Dopo aver fatto colazione, sistemammo le nostre cose e risalimmo all'attacco della Klug Stagl. 
Le scarpette rimasero negli zaini alla base, in una truna scavata nel pendio di neve che inghiottiva il sentiero estivo. 
Salimmo con gli scafi ai piedi. La fessura fu meno faticosa del solito, intasata di neve, si fece salire rapidamente dalle punte dei ramponi, le picche non erano ancora pensate per il misto moderno ed erano d'impaccio anche per scavare gli appigli per le mani guantate. Uscimmo sulla cengia coperta di neve: da li in poi la roccia era abbastanza pulita ed arrivammo velocemente in cima. 
Ricordo che sembrava un piccolo Cerro Torre.
E questo era un grande momento di piacere.
L'esile cima incrostata di neve e ghiaccio era qualcosa di incantato: racchiudeva sogni e speranze, propri di giorni grandi ai nostri occhi di allora. La mente viaggiava verso progetti lontani e, nonostante il freddo, ci passammo quasi un paio d'ore, tra foto e vin brulè che ribolliva senza fine sul fornelletto .