Scendendo dal Passo di Sant'Osvaldo il nastro d'asfalto grigio si tuffa in un ambiente decisamente invernale. Il Pre de Tegn, ancora immerso nelle ombre è stretto in una morsa di gelo. I fili d'erba tremano nel vento, aspettando un raggio di sole che li riporti alla vita.
La vita quassù è stata difficile, spezzata migliaia di volte e tornata a sbocciare, come i fiori che dominano con i loro colori la morte che quassù è calata d'improvviso, come sempre, inaspettata.
Con questi pensieri mi avvicino con Nadia alla nostra meta: la recente, e un pò discussa, Ferrata della Memoria alla gola del Vajont. Oltrepassato Erto e la diga scendiamo lungo la strada che porta a Longarone, e al secondo tornante imbocchiamo una stradina asfaltata che ci porta al parcheggio.
Il sentiero scende nel bosco e si inoltra lungo la forra, a mezza costa. La luce ancora non entra fino in fondo alla gola del Vajont, e forse non lo farà di questa stagione.
Spesso quando mi accingo ad una escursione, che sia una semplice passeggiata o una salita alpinistica mi creo delle aspettative emozionali: un'anteprima di quello che la montagna penso debba trasmettermi. Il più delle volte l'aspettativa è superata dalla realtà. Raramente accade il contrario.
Entriamo in una bassa galleria che penetra i fianchi della parete. Il buio è spezzato dal fascio luminoso della frontale. L'aria è umida e regala una sottile vena claustrofobica. Usciamo all'ombra delle strette pareti della forra, il sole è ancora lontano dalla cengia che percorriamo fino ad incontrare la scaletta metallica che dà inizio alla ferrata.
La mole grigia della diga è lontana. Quasi eterea, senza anima. La sua testata è illuminata dal sole che inizia a calare dall'alto lungo la parete. Non sento il freddo che avrei voluto.
Iniziamo a risalire la parete, superando alcuni tratti atletici, che richiedono un soffio di tecnica.
Il sole ci regala il calore e l'emozione di una vita sospesa tra luce e ombra, tra vita e morte. Ma è ancora poca cosa questa emozione.
Avrei voluto sentire l'oppressione della mole di cemento armato. La sua presenza al nostro fianco, il suo fiato gelido parlarci di quelle vite che ha germito. Niente. Solo il tepore del sole d'autunno.
Ancora una scala: ci porta ad una facile cengia ascendente e al termine della ferrata.
Scendendo lungo il sentiero incontriamo relitti che ci raccontano di quello che avrebbe potuto essere un'opera utile.
Raggiunta la strada che collega Erto alla Valle del Piave mi colpisce violenta l'unica emozione: una triste moltitudine di bandierine colorate che svolazzano, ridendo nel sole del pomeriggio, portando il ricordo dei bambini che non hanno avuto un futuro.
Spesso quando mi accingo ad una escursione, che sia una semplice passeggiata o una salita alpinistica mi creo delle aspettative emozionali: un'anteprima di quello che la montagna penso debba trasmettermi. Il più delle volte l'aspettativa è superata dalla realtà. Raramente accade il contrario.
Entriamo in una bassa galleria che penetra i fianchi della parete. Il buio è spezzato dal fascio luminoso della frontale. L'aria è umida e regala una sottile vena claustrofobica. Usciamo all'ombra delle strette pareti della forra, il sole è ancora lontano dalla cengia che percorriamo fino ad incontrare la scaletta metallica che dà inizio alla ferrata.
La mole grigia della diga è lontana. Quasi eterea, senza anima. La sua testata è illuminata dal sole che inizia a calare dall'alto lungo la parete. Non sento il freddo che avrei voluto.
Iniziamo a risalire la parete, superando alcuni tratti atletici, che richiedono un soffio di tecnica.
Il sole ci regala il calore e l'emozione di una vita sospesa tra luce e ombra, tra vita e morte. Ma è ancora poca cosa questa emozione.
Avrei voluto sentire l'oppressione della mole di cemento armato. La sua presenza al nostro fianco, il suo fiato gelido parlarci di quelle vite che ha germito. Niente. Solo il tepore del sole d'autunno.
Ancora una scala: ci porta ad una facile cengia ascendente e al termine della ferrata.
Scendendo lungo il sentiero incontriamo relitti che ci raccontano di quello che avrebbe potuto essere un'opera utile.
Raggiunta la strada che collega Erto alla Valle del Piave mi colpisce violenta l'unica emozione: una triste moltitudine di bandierine colorate che svolazzano, ridendo nel sole del pomeriggio, portando il ricordo dei bambini che non hanno avuto un futuro.
2 commenti:
tra le righe mi par di cogliere che il percorso, per quanto tecnicamente anche interessante, poco abbia a che vedere con le emozioni che in qualche modo legano i pensieri ai tragici fatti che conosciamo ...................
In effetti secondo me, se si voleva "ricordare" , avrebbero dovuto avvicinarsi alla diga, far sentire la sua presenza a chi percorre la ferrata. così com'è non la percepisci. fai fatica a vederla
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