Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

lunedì 9 giugno 2014

Monte Fara

La discesa dal passo di Sant'Osvaldo non spalanca le porte del cielo, bensì ci pone davanti alle serrande abbassate sul monte Borgà, avvolto dalle nuvole fin alle ultime propaggini di Erto. 
Lo sguardo cerca segnali di apertura nel muro grigio sopra le nostre teste, ma dal Toc, alle Cime di Pino,al Lodina il cielo è sempre grigio e abbracciato saldamente ai fianchi prosperosi delle amate montagne.
Lo sconforto ci schiaccia pesantemente ai sedili e la mente si svuota da idee e pensieri. Dopo tanto che non si riusciva a fare una gita assieme sfuma la meta nelle brume dense e immobili.
Ripercorriamo la strada e ritroso, seguendo il Cellina e puntando verso il cielo sereno che sembra splendere sulle Prealpi. Deciso! Andiamo sul Fara!

Lasciamo l'auto lungo la strada che porta a Maniago Libero e imbocchiamo il sentiero alla volta della Forcella Crous, lungo la Valle Sant'Antoni.
Camminiamo nel folto del bosco fino alla piccola chiesetta dedicata a Sant'Antonio.






Un respiro nel verde silenzioso che avvolge la cappella e riprendiamo il cammino verso la forcella che in breve raggiungiamo, mentre l'alito umido del sottobosco mi fa sudare le proverbiali sette camice senza neanche far fatica.
Imbocchiamo il sentiero 983 verso la cima, e iniziamo a risalire la cresta. Nonostante il vento che si insinua tra le foglie non abbiamo grosso sollievo dall'umidità che sale dalla terra. Usciamo sulla dorsale e la vista si apre , a sprazzi sulla pianura.






La cima si avvicina e usciti finalmente dal bosco la croce si mostra lontana, alla fine della dorsale, una stoffa verde e morbida punteggiata da mille fioriture.







Ci salutano tre escursionisti, che poi ci invitano a scendere per un sentiero recentemente riscoperto dall'oblio del tempo e dal destino di una montagna vissuta solo per diletto. Accettiamo di buon grdo l'invito per la riscoperta, ma prima ci godiamo la vetta solitaria, dopo il loro saluto. Li seguo con lo sguardo per individuare il sentiero e poi li saluto con un battito di ciglia quando li vedo immergersi nello smeraldo del bosco, inghiottiti da onde molli e fresche.
Dalla cima un'ultimo abbraccio alla cima del Raut, che fa la vezzosa con un cappello di piume e iniziamo la veloce discesa sul crinale orientale della Uragna, lungo un sentiero che ci sentiamo in ragione di chiamare Sentiero degli Iris.






Il bosco ci abbraccia e ci porta velocemente nei pressi di S. Antonio, dove riprendiamo la vecchia strada della Valcellina che ci riporta a Ravedis.

1 commento:

montagnesottosopra.blogspot.com ha detto...

Alla fine ci sono anche i narcisi !