Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

giovedì 24 settembre 2009

Laerchenturm: calcari ad est

Lunedì parto in compagnia di Davide (dopo tanto si torna a fare qualcosa assieme! Era ora!) per una zona che non ho mai visitato: il versante austriaco delle Caravanche. La meta è il massiccio del Koschuta (Cuessuta? Davide lo trova subito interessante!), nella zona a est di Klagenfurt.
Mentre percorriamo la carrareccia che sale alla Koschutahaus la nostra meta ci si para davanti, tra le nuvole che salgono dal bosco di abeti e larici.

La giornata non è quella che ci aspettavamp, visto il sole che brillava sul Friuli. Comunque sia iniziamo la salita verso il Laercherturm, o Cjainik in sloveno, prima tappa del giro che poi per cresra ci porterà anche sul Koshutnik Turm.
Il sentiero abbandona presto il bosco attraversando una breve fascia di mughi, che ben presto lascia il passo ai faticosi e ripidi ghiaioni che ci accompagnano all'attacco della ferrata.

La partenza della ferrata è subito tosta: cavo ben teso e massima esposizione. Ci vuole una bella forza di braccia, soprattutto con la roccia viscida per la forte umidità e per il terriccio sotto gli scarponi. Dopo un primo salto verticale ci aspetta un faticoso traverso. "Roba da crucchi" dice Davide, leggendomi nel pensiero. In effetti mi tornano in mente tutti i pensieri che mi frullavano in testa mentre salivamo la torre Clampil. Con la differenza che almeno qui la ferrata ha un certo senso alpinistico.
Saliamo contesi fra nebbie e sole, lungo il cavo che spesso risulta essere necessario alla progressione, tanto poco offre come appiglio la roccia. Ad un certo punto la ferrata offre un bivio: a destra difficile, a sinistra molto difficile.
Ma ke zimpatizi qvesti mucchi!!
Prendiamo per la via difficile e arriviamo ad un altro bivio: sinistra in cima, destra si scende al sentiero per una simpatica placca strapiombante!

Arriviamo in cima in due ore, con largo anticipo sulla tabella del rifugio e sulla relazione. Una foto con la buffa scultura in cima e facciamo merenda, meditando sul da farsi.
Visto che la zona ci è nuova decidiamo di non proseguire per la cresta e di scendere per il canalone est, che dovrebbe essere la normale al Laercherturm.

Percorriamo l'ultimo tratto di ferrata in discesa, che con qualche numero circense ci porta alla selletta, immersi nelle nuvole. Il canalone sembra facile, anche se con molto detrito. Ad ogni passo va giù l'ira di Dio, per fortuna non dovremmo avere nessuno alle spalle. Di tanto in tanto c'è qualche spit con una lunga catena attaccata di cui non capiamo l'utilità.

Scendiamo lungo il canalone, con diversi passaggi sprotetti e delicati su roccia friabile, finchè non raggiungiamo i ghiaioni, come una liberazione dalla spada di damocle che sentivamo incombere sopra di noi, lungo il canalone.

Ora il gioco si fa divertente sulle ghiaie fini. scendiamo a tutta birra, quasi volando verso i mughi. do uno sguardo all'altimetro che segna una velocità di discesa di 85 metri al minuto! Una bellezza!

Sopra di noi le nuvole si rincorrono lungo le creste, e noi ormai rincorriamo solo il desiderio di una bella birra al rifugio! Che non tarda ad arrivare!

domenica 20 settembre 2009

Pallottole e stelle alpine

"Siamo proprio due pigne nel culo!"
Quoto l'espressione più colorita di Ilaria mentre entrambe osserviamo la paretina di quattro metri bagnata che non riusciamo a passare. Dove sono gli appigli "tanto grandi da entrarci con i gomiti" di cui mi parlava ieri Luca? Il solito esagerato!!! Certo se ci fosse qui lui ci farebbe entrambe salire...a suon di frustate!!
Ma si sa, l'accoppiata Nadia-Ilaria non è certo sinonimo di sicurezza....tutt'altro!!! Messe assieme l'insicurezza regna sovrana in queste situazioni!!!
Alziamo lo sguardo verso l'unica cima non coperta dai nuvoloni: la nostra meta, la Cima Mogenza Piccola ci osserva sorniona a meno di mezz'ora di distanza!
Guardo Ilaria e sorridiamo con rassegnazione: il pensiero va a tutte le nostre incompiute! "Se riusciamo a salire ce la facciamo poi a ridiscendere per il rientro? mmh, non credo proprio!" L'alternativa è scendere a Sella Nevea e tornare all'auto facendo autostop....ma passerà qualcuno? Cinque-sei chilometri d'asfalto non sono il massimo dopo tutto quel giro! E se ci avvolgono i nuvoloni come la mettiamo? Il meteo reggerà? Gia il meteo... non era quello che speravamo ieri...

Sabato mattina il ritrovo è alle 7:30 a Gemona: la nostra meta odierna è la Cima Mogenza Piccola. Scambio di calorosi abbracci e via con l'auto nuova di Ilaria che mangia silenziosa i chilometri fino in Val Raccolana.
Grossi nuvoloni avvolgono le cime mentre attraversiamo Sella Nevea e ci dirigiamo verso Cave del Predil. Mmmh...si alzeranno? Speriamo bene va!



Arriviamo al parcheggio a lato del ponte sul Canale della Trincea e un timido sole si affaccia tra la densa e umida foschia. Alle nove siamo in marcia, attraversando prima il greto del rio del Lago e percorrendo poi con numerose svolte il sentiero che entrando nel bosco risale il canale Jama. L'erba alta e bagnata dalle recenti piogge ci inzuppa i pantaloni e la fronte si fa madida di sudore man mano che saliamo. Le mie gambe invece fanno il loro dovere e mantengono il vecchio ritmo e i vecchi tempi, tanto che, nonostante l'affanno per le nostre chiacchiere, raggiungiamo presto le bagnate e luccicanti pareti della Mogenza Piccola. I nuvoloni sono ancora padroni delle cime che ci circondano ma la nostra meta ne sembra immune.

Con bellissimi scorci sul verde Lago del Predil e il gruppo del Riobianco attraversiamo una zona carsica gradinata e con numerosi voragini dal fondo ancora innevato raggiungendo una zona con trincee, postazioni e gallerie.





In breve guadagniamo la sella Jama a quota 1780mt e la visuale si apre sulla cresta di confine. Seguiamo i segnavia biancorossi che ci guidano tra le numerose voragini che si aprono nella roccia carsica verso un camino verticale che in alto presenta una scalinata nella roccia: che bella!




Meno bello invece è il tratto che dobbiamo risalire per raggiungerla! I nostri scarponi sono viscidi a causa del terreno umido alla base del camino e la roccia è bagnata.

Ilaria prova a salire ma gli appigli non danno sicurezza: si ferma incerta dopo poco e guardandomi mi dice: "tu ce la fai ? perchè qua c'è da buttarsi un po' in fuori e se riuscissi a salire non so se ce la farei a ridiscendere!" Faccio un tentativo ma la paura di scivolare mi blocca: se con la nascita del primo figlio avevo partorito la "prudenza", con la nascita di Gabriele l'ho aggiornata di brutto! Rivolgo ad Ilaria un imbarazzato sorriso e lei, colta da altrettanta insicurezza, piano piano mi raggiunge di nuovo.


"Proprio due belle pigne!"
Facciamo dietrofront promettendo alla "signora Mogenza Piccola" che ripasseremo a farle visita, la prossima volta però dal versante opposto!

Ritorniamo alla sella e risaliamo il crinale fortificato dall'altro lato: si potrebbe salire sulla Mogenza Grande. Purtroppo la labile traccia sprovvista di segnavia, sparisce subito dopo tra mughi e inghiottitoi e lasciamo perdere anche questa idea. Sedute sotto un sole che va e che viene, pranziamo tra mughi e stelle alpine.




Curiosando tra i resti delle fortificazioni che ci circondano osservo con cura: e chi sa cosa cerca, trova! Un pensiero va al caro "cugjno" Manuel, appassionato di "farcadicce" e ai suoi insegnamenti mentre rinvengo le prime pallottole e quei rotondi sassolini grigi che altro non sono che i letali pallini di piombo contenuti nelle bombe "schrapnel"! Stelle alpine e pallottole: il bello e il terribile di questi monti!


Le nuvole si diradano mentre scendiamo di nuovo verso l'auto e quando la raggiungiamo il sole splende beffardo: evidentemente oggi la Mogenza non ci voleva, ma come le abbiamo promesso, ritorneremo a farle visita!

martedì 15 settembre 2009

Duranno: grigi silenzi di fine estate

Era da un pò che ci pensavo quest'estate, ma, come spesso capita, ci sono mille cose a distogliere la mente dai progetti che si fanno. Certo che le mie "cose" non sono molte, anzi una, e per il momento ha la precedenza sul resto com'è ovvio che sia. Comunque dopo aver messo in saccoccia la Messner al Sasso delle Nove avevo focalizzato le mie brame alpinistiche sul Duranno. L'avevo salito già dieci anni fa per la via dei cacciatori ertani e questa volta puntavo alla Corona-Appi o alla Casara. Soprattutto la Casara. Vuoi per la simpatia che ho per la figura di Severino Casara e per la sua straordinaria salita agli strapiombi nord del Campanile; vuoi per l'antipatia a "pelle" per Carlesso e per il suo comportamento in occasione della salita al Campanile di Casara. Anni fa, ad un incontro a Pordenone gli chiesi il perchè di tutto quall'astio. Non mi rispose. Mi dissi in un primo momento: "cosa vuoi che risponda a te!". Poi invece sentendolo con altri mi parve di capire: una certa invidia! Sarà stata una mia impressione ma da li quel vecchio iniziò a starmi sulle balle, nonostante l'ammirazione per la sua attività alpinistica.
Domenica con me c'è Mauro e mentre saliamo verso Erto, il Duranno ci saluta stagliandosi contro un cielo azzurrissimo. Chissà che il meteo abbia toppato!

Toppato! Muoviamo i primi passi in Val Zemola e già qualche pecorella fa la sua comparsa in cielo. Raggiungiamo in un'oretta il rifugio Maniago e continuiamo subito verso forcella Duranno. Il sentiero sale prima tra mughi trasudanti umidità e poi tra grigie pietraie.

Sui primi salti rocciosi per salire alla forcella notiamo sopra di noi le prime sentinelle del Duranno si apprestano a scoprire chi sono gli intrusi che si avventurano nel loro regno.

In forcella splende il sole, e nel contempo sulla cima dei Preti si addensano grigi nuvoloni. Guardiamo le Centenere, come possibile ripiego: ma dopo la galoppata fin qua rappresentano un misero bottino! Duranno doveva essere e Duranno sarà!

Disturbiamo ancora le sentinelle che ci guardano sospettose e iniziamo a salire la cresta per il primo tratto della via di Napoleone Cozzi e Zanutti, fino a raggiungere la grande cengia. Iniziamo a seguirla verso sinistra, passando sotto la parete rossa dove sale la via Carlesso. Arrampichiamo in leggera discesa e raggiungiamo la larga cengia ghiaiosa. A perpendicolo sotto di noi il rifugio Maniago sonnecchia tranquillo, immerso nel verde.

Arriviamo all'attacco e, con la nebbia che cala improvvisamente, abbiamo qualche momento di disorientamento, Poi la nebbia dirada e attacchiamo diretti sulla verticale per la variante Di Bortolo. Saliamo per un pò fino ad un bel diedro articolato che ci ricongiunge alla via degli ertani.
Le nuvole vanno e vengono. ogni tanto fa capolino il sole mentre saliamo. Su uno dei camini della via comune, lisciato dall'acqua e dalle frequenti scariche di sassi, che qui convogliano, Mauro si blocca e mi chiede di fargli sicura. Peccato che la corda è nel suo zaino! Mi assicuro con un friend ed una fettuccia e mi sporgo all'esterno: cinque, sei metri sotto di me mauro inizia a cercare di lanciarmi il capo della corda. Al terzo tentativo ce la facciamo e in breve, una volta assicurato mi raggiunge.

Continuiamo a salire in ambiente grigio e sinistro. Opprimente e tetro sono le parole giuste. Non ci si sente a proprio agio in queste situazioni, c'è sempre un disturbo di fondo. Finchè un grido non rompe il silenzio: "cordaaa!". Ah, non siamo soli. Due ragazzi stanno scendendo. Gli passiamo a fianco, salendo il fianco occidentale del catino sotto la cima per evitare eventuali sassi che la corda può smuovere. Ci salutiamo con un "non è la giornata giusta per il Duranno!", e raggiungiamo la cima.

Con un pò di fantasia la vista dalla cima è magnifica, la cima dei Preti a portata di mano, Col Nudo, e in lontananza Pelmo e Tofane. Con la cruda realtà invece qualche pietra, nebbia e la Madonnina a fianco del libro di vetta.
La sosta è breve e subito iniziamo a calarci con le doppie in quell'abbraccio lattiginoso che ci avvolge freddo e umido. Che sia il respiro della montagna, come dice Corona? Forse sarebbe meglio consultare un medico se è davvero così!

Sulle ultime doppie, preceduta da un forte tuono che rimbomba tra le pareti del canalone, arriva anche la pioggia. Sottile e fredda.

Raggiungiamo la grande cengia e ci liberiamo di corde e imbraghi, che finiscono nello zaino. Il velo grigio a tratti si squarcia e ci lasci vedere il blu del cielo, ma solo per poco, ormai la giornata va così.

Raggiungiamo forcella Duranno e la Cima dei Frati appare eterea tra le nuvole. Qui troviamo i due ragazzi che stavano scendendo, che vedendoci scendere veloci ci aspettano per una stretta di mano.

Scendiamo al rifugio Maniago dove ci concediamo con piacere una birretta. Il sole esce di tanto in tanto per scaldarci, ma le striature bluastre in avvicinamento dal col Nudo non lasciano ben sperare. Salutiamo gli amici del rifugio e scendiamo verso le Gere.
Inizia a piovere mentre entriamo nel bosco, e la pioggia sulle foglie è una bella musica da ascoltare.

lunedì 14 settembre 2009

Tessemberger Alm: quello che non ti aspetti

Un sole debole, oltre le nuvole grigie, ci aspetta il mattino dell'ultimo giorno di queste brevi vacanze in tre. Dopo la breve gita al lago di Braies del giorno prima, un'altra avventura aspetta l'Alpinfrut, stavolta sui monti del Tirolo Orientale.

I Tre Scarperi ci salutano con la sciarpa al collo, ed in effetti la mattinata è piuttosto fresca e frizzantina. Scendiamo a valle e seguiamo la Drava in direzione di Sillian. Quando siamo in vista del castello di Heinfels lasciamo la strada principale per inerpicarci sulla stradina che sale a Tessemberg. La montagna è ricoperta da fitti boschi che sembrano giungere fino in cima. La stradina asfaltata è ripida e stretta, e con strette svolte nel fitto del bosco ci porta al piccolo parcheggio della Tessemberger Almrast.

I preparativi con il piccolo Alpinfrut richiedono un pò di tempo ma ben presto iniziamo a camminare. Oltrepassiamo lo steccato e seguiamo il sentiero che si inerpica nel bosco. Abeti e larici ornati di licheni dominano la montagna, chiudendo la vista. D'un tratto il bosco cede il posto all'erba e a chiazze di mughi e rododendri ed un altopiano che non ti aspetti ci accoglie, sferzato dal vento.
Deviamo dal sentiero per raggiungere l'Heinfelser Kreuz, sul bordo occidentale dell'altopiano, dirimpetto il Thurntaler.

Salutata la grande croce ripartiamo seguendo una lieve traccia nell'altopiano, verso oriente. Peccato per la nuvole che nascondono gran parte del panorama. Il posto ha un vago richiamo di terre nordiche, sembra uscito da qualche guida sulle highlands scozzesi, e invece siamo nell'Austria Felix, a due passi (o anche tre) da casa.

In breve raggiungiamo le perle dell'altopiano: tre laghetti alpini incastonati nel verde, uno spettacolo che non ci si aspetta, e anche in una giornata così grigia e ventosa è uno spettacolo bellissimo.
Ci lasciamo alle spalle gli specchi d'acqua e raggiungiamo la piccola cimetta del Glinzzipf, che con la sua croce domina le propaggini meridionali del Tessemberger Alm, e proseguiamo ai margini dell'altopiano in direzione del Morgenrastl.
Dove ci aspetta... una croce! E un'originale panca per il riposo dei viandanti in queste terre alte, al riparo dal vento.
Dal Morgenrastl seguiamo il sentiero verso nord, in direzione della Rauscharte, rasentando i margini dirupati a oriente dell'altopiano, interamente percorsi da uno steccato, per evitare cadute accidentali di qualche.. mucca curiosa!
Dalla sella saliamo verso il Steinras, che con i suoi 2253 metri è la maggior elevazione del Tessemberger Alm. Da qui si percorre in discesa il lato settentrionale dell'alpeggio e si raggiungono nuovamente i tre laghetti principali.


Gli avvallamenti che si susseguono amplificano ancor di più la vastità del luogo, regalando un senso di infinito. Dopo molti"ecco! ora ci sono i laghi" finalmente ci arriviamo, giusto in tempo per trovare un posto al riparo dal vento dove far da mangiare a Gabriele, che dopo tante "fatiche" reclama la pappa!