A luglio del 2009 gli Alpinauti hanno in progetto una scalata molto impegnativa e spettacolare: salire per una via nuova il mitico Monte Pancione!
Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy
mercoledì 26 novembre 2008
martedì 18 novembre 2008
Tanto resta lì ad aspettare...
Venerdì mattina la vista verso nord est la rivelava in tutto il suo splendore: la dorsale Sart - Canin risplendeva di candido desiderio. Sarà la volta buona?
Sabato mattina. Arriviamo all'altezza di Moggio e il Sart ci appare nel suo maestoso candore, aumentando le preoccupazioni di qualcuno, e il desiderio di qualcun'altro.
A Stolvizza ripartiamo un pò i carichi, e dopo qualche scornatina prendiamo la via di Sella Buia.
Sabato mattina. Arriviamo all'altezza di Moggio e il Sart ci appare nel suo maestoso candore, aumentando le preoccupazioni di qualcuno, e il desiderio di qualcun'altro.
A Stolvizza ripartiamo un pò i carichi, e dopo qualche scornatina prendiamo la via di Sella Buia.
Il tratto iniziale del sentiero è sempre bello: passare tra gli orti e le case regala un senso di di familiarità che quasi allegerisce la fatica dell'innalzarsi.
La strada ben presto si riduce a sentiero e con ampie volte ci porta senza fatica ai bellissimi Stavoli Tuursee. Ho girato in lungo e in largo per le nostre montagne, ma un posto come questo non l'ho ancora trovato. Se andassi al Milionario e Scotti mi chiedesse cosa far col milione sarei sicuro: compro gli Stavoli Tuursee!! Da qui la vista sul Sart, sul Canin, sulle Babe, sul Guarda resta nel cuore, con la luce del primo pomeriggio, calda e avvolgente.
Proseguiamo verso gli stavoli Lom, con la grossa mole del Sart che ci domina sulla destra, mentre in alto davanti a noi si intravede il tetto e la bandiera del ricovero Igor Crasso: sembra di toccarlo con mano e invece.. c'è nè ancora da camminare!
Nel silenzio del bosco salgo velocemente verso il bivio per la pace del Pusti Gost; dietro di me, nel bosco sento le voci di Nadia e Ilaria. Al bivio aspetto di averle in vista prima di proseguire.
Poichè è ancora presto e al tramonto manca ancora un pò, prendo una traccia che mi ha sempre incuriosito quando, in passato, sono salito al Crasso. Aggira il Picco Peloso e si addentra nel bosco che veglia sulla Raccolana per poi ricongiungersi al sentiero che vi discende. Niente scoperte clamorose, se non una miriade di impronte di camosci e stambecchi nella neve. Guadagno la cima del Picco Peloso e guardo verso la Val Resia, ma non scorgo le mie compagne di avventura sul sentiero. L'aria è tiepida e il rifugio ha l'aria sonnacchiosa del tardo pomeriggio: entro, e dopo aver posato lo zaino, porto fuori una panchina e mi siedo a carpire come una lucertola gli ultimi raggi di sole, aspettando l'arrivo delle ragazze.
Non passa molto che arrivano, giusto il tempo per sistemarsi ed aspettare la magia del tramonto.
L'aria è tersa e presto il sole morente incendia le nevi delle cime che ci sovrastano. Velocemente il carro di Apollo porta il sole verso cime lontane e il fuoco del cielo si fonde con il buio della notte.
Rientriamo nel bivacco mentre la stufa prende ad andare come Dio comanda! Nadia entra felice nel calduccio " Si sente che è accesa la stufa!" Pononoppo!! Ci son 9 gradi!!
Sono appena le cinque e mezza e fuori la notte ha preso il sopravvento, le stelle incominciano a trapuntare il cielo, e noi dentro al calduccio... non sappiam che fare! Certo che aver tanto tempo a disposizione è un bel problema! Ci mettiamo alla lettura del libro del rifugio, giunto ormai alla fine, dopo quattro anni di servizio. Parlando del più e del meno vengono le sette e.. ora di cena!
Dallo zaino di Ila-Sherpa escono un salame, il pane, una torta salata, una leggerissima frittata (uova, grana, ricotta, patate.. giusto per tirarsi su) e una bella torta, che accompagneremo con lo spumante che ho portato su io (ma la festa era sua, perchè me lo fa portare a me?? Hi! Hi! Hi!).
Senza troppe remore diamo il via alla degustazione d'alta quota e Nadia nota subito una pecca dell'organizzazione: neanche un tajut di nero! Ah! Sacrilegio!
La campana suona anche per la torta e lo spumante (forse a causa dell'altitudine??) volatilizza una volta messo nei bicchieri! Chissa mai che strano fenomeno fisico stà alla base di questo mistero!
Dopo un pò di riposo, per favorire la digestione, mettiamo sul fornelletto una generosa razione di punch che sembra molto gradito dalle Signore! Tant'è che in breve abbracciano la stufa con visi estatici degni di un baccanale!
Da lì alla branda il passo è breve e, qualche ora dopo, l'alba ci coglie ben riposati!
Un tè caldo e una brioche ci mettono sulle tracce dell'Alta Via Resiana. Iniziamo il lungo traverso che ci porta alle pendici del Sart. Nei pressi del libro di via calziamo i ramponi, poichè la neve si fa dura e, a tratti, forma degli scivoli verso valle nei colatoi. Avanziamo veloci verso il pendio meridionale del Sart, dove vediamo diversi camosci gironzolare.
Lo spessore del manto nevoso inizia a farsi più consistente, e l'avanzata si fà più lenta e faticosa. Gli ampi tornanti del sentiero si indovinano appena. In alcuni tratti la neve arriva al ginocchio e in altri.. un pò più in su!
A sud si stende la pianura friulana e lo sguardo spazia fino al mare, dove si indovinano persino le sagome delle navi nel golfo di Trieste.
La forchia di Terrarossa è in vista, ma non arriva mai, ad ogni svolta del sentiero si allontana ancora un pò.
Quando vi arriviamo è ormai mezzogiorno. Nadia mi dice che sul Sart ci verrà d'estate, ma era già da un pò che avevo capito che neanche oggi saremmo saliti in cima. Con queste condizioni ci vorrebbero quasi due ore per salire e scendere, più altre quattro per il rientro. Che ci devi fare.. Tanto non scappa!
Iniziamo a traversare verso il Marussich e Ilaria è un pò perplessa. La neve è ventata sulla forchia di Terrarossa, ma compatta e senza zone di accumulo sulle falde del Picco di Grubia. A metà strada sprofondo fino ai fianchi, e guardandomi indietro, alle spalle di Nadia vedo un'Ilaria piuttosto impaurita dalla situazione: dietrofront! Torniamo sui nostri passi!
In forcella mangiamo qualcosa e torniamo velocemente verso il Crasso: è l'una passata e di strada c'è nè un pò da fare!
La temperatura del pomeriggio inizia a salire e la neve inizia a farsi pesante. Scendiamo velocemente lungo il sentiero e quando ci affacciamo sulla dorsale del Picco di Mezzodì una gradita sorpresa: un bellissimo maschio di stambecco è a meno di due metri avanti a noi, immobile! Ci guarda e soffia, mentre altri cinque esemplari avanzano lungo il sentiero verso Sella Buia. Per un buon quarto d'ora andiamo avanti un metro alla volta, assecondando i nostri compagni di escursione, finchè non decidono di risalire verso l'Indrinizza, lasciandoci libero il passaggio.
Sono le tre quando arriviamo al Crasso. Prima di continuare la discesa mangiamo ancora qualcosa godendoci ancora il panorama che questa magnifica giornata ci offre.
Con una visione del genere, non c'è spazio per la delusione di non esser riusciti a fare il giro che avevamo in mente.
Scendiamo verso valle, accompagnati dalle ultime luci del giorno.
Agli stavoli Tursee godiamo ancora dei colori del tramonto. Mentre il Canin avvampa scendiamo verso il buio del bosco. Arriviamo a Stolvizza accolti dalle luci dei lampioni. Niente cima, la neve non ce l'ha concessa, ma due splendidi tramonti li portiamo a casa.
mercoledì 12 novembre 2008
Sentieri silenziosi
Dopo un rimpallo di impegni degno di un flipper ci ritroviamo sabato sera a decidere cosa fare: il pranzo per il compleanno di mia mamma era slittato alla sera per spostamenti di turno di mia sorella; si poteva andare alla chiusura con gli altri del Club, ma il fegato probabilmante ne avrebbe risentito dalla sommatoria di pranzo e cena e allora? Alla fine decidiamo per una sgambatina al Cuel de la Bareta, partendo da Patocco, in Raccolana. Lungo un percorso dal fascino silenzioso e dagli echi di un lontano passato.
Al mattino partiamo con la nebbia, che man mano ci avviciniamo alle montagne cede il passo ad alte nuvole grigie e a sprazzi di sole.
Sui ripidi e stretti tornanti prima di Patocco Indy si fa sentire dal trasportino: tranquillo che siamo arrivati.
Sulla piazzetta di Patocco ci accoglie il saluto di alcuni paesani intenti a lavori di ristrutturazione del tetto della chiesa: "Eh! Vegnarès ancje io a fa un gir fin sul Cuel! Invecit i sin chi a fà opare pie!"
Salutiamo i pii lavoranti e ... ci perdiamo a Patocco! A volte succede! Mentre ammiriamo l'architettura di alcune casette prendiamo una traccia che entre nel bosco. Dopo un attimo ci accorgiamo dell'errore e torniamo sui nostri passi per prendere la carrareccia che ricalca il vecchio sentiero fino a una presa d'acqua, da dove riprende a salire il vecchio sentiero. Indy richiamato dal suo gironzolare scodinzolante, pensa bene di tagliare su dritto per uno strapiompo friabile a al sottoscritto tocca recuperarlo per il collare, una volta incrodato!!
Saliamo nel bosco di abeti alternati a faggi fino a incontrare la Via Alta che scende dai Piani del Montasio: da qui il sentiero corre tutto in quota, con brevi saliscendi.
Con il sole che filtra dai rami, il sentiero silenzioso ci avvolge con la sua bellezza, e la vista sulla Raccolana con i vapori del mattino che si dissolvono è quasi magica.
Proseguiamo lungo la Via Alta in direzione di Dogna, rasentando i ruderi dello Stavolo Chinòp, sulle pendici del monte Jovet. Passando su alcune rientranze dei ripidi fianchi rocciosi della montagna arriviamo in vista della Forca Galandin, esile e dirupato confine tra gli opprosti versanti dello Sflamburg.
Percorriamo il sentiero scavato nella roccia, volgendo lo sguardo all'abisso, quando , all'improvviso uno scatto di Indy mi fa sobbalzare: a lato del sentiero un giovane esemplare di camoscio dorme placido nel sonno eterno. Probabilmente un malore lo ha colto durante il passaggio e ora giace a fianco del sentiero, guardando il viandante con gli occhi sbarrati.
Il sentiero si fa un pò franoso mentre entriamo nel bacino del Rio Cadramazzo, che ci introduce alla vista della gola del Rio Fontanis, che con le nuvole che vi aleggiano sopra pare un ingresso infernale di dantesca memoria.
Passiamo oltre un tratto friabile, agevolato con qualche cavetto e guadagnamo nuovamente un comodo sentiero.
Arriviamo nei pressi di ciò che resta di un ricovero in legno, incassato in un'ansa del sentiero e scendiamo dolcemente verso il Rio Livinal, dove incrociamo il sentiero che scende a Cadramazzo, che ci appare al sole nel fondovalle.
Il silenzio tutt'intorno è maestosoe selvaggio, come l'ambiente che ci circonda.
Ad una svolta del sentiero c'è una vecchia vasca per la raccolta dell'acqua, ormai siamo vicini alla selletta dove il sentiero si biforca: lasciamo alla nostra destra il sentiero che scende in Val Dogna, e proseguiamo lungo la dorsale boscosa che ci porta verso la cima.
Tra la boscaglia ci appare grigio e spettrale lo scheletro della stazione della teleferica, poco oltre, nascosto tra i mughi l'ingresso di una breve galleria.
Procedendo nel letto di foglie rosse saliamo verso la sommità, guadagnando ampi scorci di panorama sul Canal del Ferro.
Poco sotto la cima vi è l'ingresso del sistema difensivo in caverna del Cuel de la Bareta: nove ampie stanze per cannoniere, puntate verso gli obiettivi strategici della zona.
Saliamo sull'ampia vetta con un piccolo cippo e un grande.... tavolo di legno con due panche!
Poco sotto, al riparo dal vento un altro intabarrato gruppetto di escursionisti cerca riparo dal vento in un avvallamento: pensavamo di essere soli e invece no!
La cima è uno splendido punto panoramico: il Montasio cela la sua vetta sotto un cappello di nubi, ma la sua mole appare enorme e vestita delle prime nevi autunnali.
La vista arriva fin su a Sella Sompdogna; Jof di Miezegnot, Piper, Due Pizzi, Schenone e Jof di Dogna ci si parano davanti.
Il vento freddo sferza la cima, mangiamo frugalmente e scendiamo a visitare il complesso di postazioni sotterranee. Al riparo dal vento! Non prima di una foto in cima però!
Iniziamo il rientro lungo la via dell'andata, di nuovo immersi nel silenzio del bosco. Il sole si fa sentire ancora caldo in questo principio di novembre, e la discesa è gradevole. I pensieri corrono liberi, accompagnati dal fruscio delle foglie sul sentiero. Indy segue chissa quali odorose tracce e marca il territorio con cadenza precisa. Ormai è padrone di mezze Alpi friulane!
Sul Rio Livinal ritroviamo il gruppetto della cima, scende a Cadramazzo dopo aver invano cercato il sentiero per Dogna. Eppure dalla cima lo si vedeva bene! Boh! Salutiamo e proseguiamo oltre. In leggera salita torniamo verso la gola del Rio Fontanis, che sgombra dalle nebbie perde l'infernale apparenza del mattino.
Il sentiero sale calmo verso forca Galandin nel tiepido pomeriggio. Velocemente scendiamo lungo la via, deviando un attimo verso la Galleria del Chinòp, altra opera della Grande Guerra. Nadia si lancia pila in mano alla sua esplorazione seguita da un coraggioso Indy, che poi scopre di avere un pò di paura del buio! Ma dopo qualche richiamo "gentile" corre eroicamente verso l'uscita, e la luce!
Ormai Patocco è vicino, e ci arriviamo poco dopo le tre, ritrovando le pie maestranze sul tetto della chiesa: "Viodeiso ca son tornas i nestris amis!" ci apostrofano dalla sommità. Scambiamo due parole sulla giornata e scendiamo verso casa. C'è una mamma da festeggiare!
lunedì 10 novembre 2008
Quattro orsi a zonzo
Non volendoci ancora arrendere al letargo decidiamo di salire in Peralba per una arrampicata su difficoltà contenute, poichè della compagnia, oltre a Enrico e Renzo, c'è l'amazzonico Giovanni, che dopo tre mesi di colline (...) brasiliane ha il bisogno di sgranchirsi un pò sulla roccia di casa.
E' proprio Giovanni a chiamarmi venerdì sera:
"Ciao! allora domani si và? a che ora ci troviamo? Và bene alle sei?" Non è che proprio vada bene, comunque dopo una breve contrattazione si decide per le sei e un quarto.
Il mattino dopo la sveglia suona poco prima delle sei, e avendo già preparato tutto, alle sei e un quarto sono in piazza. Renzo arrivo pochi attimi dopo e mentre aspettiamo Enrico e Giovanni andiamo a bere un caffè. E proprio mentre ci incamminiamo ecco che suona il cellulare di Renzo: Giovanni è rimasto addormentato! Cambio veloce di programma e ci si ritrova al casello di Amaro.
Anche al casello arriviamo prima io e Renzo e poco dopo il faccione sorridente di Giovanni sbuca dalla sua macchina, veloce trsbordo di materiale e via verso Cima Sappada.
Lungo la strada del Canale di Gorto la guida di Giovanni tradisce le influenze sudamericane dell'ultimo periodo, se Felipe Massa avesse guidato così ora sarebbe campione del mondo!
I tornanti della strada delle sorgenti del Piave svanicono sotto le ruote e con lo stomaco leggermente sconquassato atteriamo al parcheggio alle falde del Peralba.
Il paesaggio è in veste invernale: le pareti della torri satelliti sono piuttosto bagnate, e in quota c'è neve. Dopo un breve conciliabolo mettiamo da parte i propositi arrampicatori e optiamo per una camminata fino a Passo Sesis.Passiamo sotto le rocce delle Torre dei Fiori e sia il canale delle via comune, che le placche della Via della Falce sono bagnati. Per oggi ci accontenteremo di una passeggiata condita da racconti esotici e progetti per la stagione invernale. La conca del Calvi è meravigliosamente silenziosa sotto il manto di neve che la ricopre. Saliamo velocemente verso il Passo Sesis, tra le nebbie che si rincorrono salendo dal fondovalle. Una breve merenda e il vento gelido che sale dalla Valle di Fleons ci invita a tornare sui nostri passi sotto qualche fiocco di nevischio.
Alla macchina il nevischio lascia il passo a qualche goccia di pioggia. L'inverno si avvicina.
mercoledì 5 novembre 2008
Montagna terra di conquista
Dopo aver pubblicato la lettera di Paolo Rumiz indirizzato al Congresso Nazionale del nostro Club, ho iniziato a curiosare tra gli scritti degli amici blogger. Cercavo di capire quanto è radicato il problema di questa montagna ammalata. Di questa montagna ferita e quindi facile preda di personaggi senza scrupoli, che in nome della sua salvaguardia la depredano.
Già i primi due blog che visito scrivono di questo argomento.
Terre Alte parla delle piste che minacciano il Catinaccio, piste che non hanno avuto il parere positivo dell Giunta Provinciale, ma che, in barba a quanto ha deciso la Provincia di Trento sono state picchettate dalla ditta che voleva costruirle.
Gli Amici della Montagna di Verona titolano "Così la Lessinia non si salverà": Averardo Amadio, del Wwf, ha cercato in tutti i modi, anche come membro del Comitato tecnico scientifico del Parco, di contrastare la bitumatura della Aliana, ma senza successo. «Resto dell’idea che rendere più facile alle auto l’accesso al Parco sia un controsenso: è nella natura dell’area protetta essere accessibile solo a piedi e ribadisco che se c’erano dei soldi da spendere era meglio spenderli per la promozione del Parco e a vantaggio dei residenti, anziché per incentivare l’invasione di auto e moto. Purtroppo in pochi si preoccupano di dar valore alle risorse interne al Parco, pensando sempre che la ricchezza arrivi da fuori».
I blogger alpinisti friulani levano gli scudi (per ora vittoriosi) contro le piste sul Sentiero del Pellegrino al Lussari, ma non possono far altro che ricordare la bellezza selvaggia di Sella Prevala e le verdi quieti del Tamai.
Sono solo alcuni casi ma c'è nè già troppi.
lunedì 3 novembre 2008
Sapori della memoria
Un venerdì freddo e piovoso ci congedava da ottobre e ci introduceva, senza molte speranze di bel tempo, al primo fine settimana novembrino. Neanche a farlo apposta un'inaspettato e caldo sole accompagnava le ritualità familiari di Ognissanti: il ricordo di chi è andato avanti, il pranzo tutti assieme, le castagne, il ritrovo a cena.
Ma il pensiero correva all'indomani: che cosa ci riserverà quest'estate di San Martino anticipata?
Il meteo alla televisione ci allietava il cuore, proponendoci una visione satellitare di una penisola sgombra di nuvole!
E allora? Quale sarà la meta del domani? Nadia si mette alla ricerca di un itinerario seguendo le mie pigre indicazioni date dal divano: una casera (per ripararci in caso di scherzi del Giuliacci), servita da una forestale (per non annegare nei boschi zuppi d'acqua), un percorso breve (la sera mi aspettavano le sofferenze del Carnera).
Alla fine accettiamo di buon grado le casere Ielma, in Val Pesarina, proposte da Maria Vittoria. Coinvolgiamo, si fa per dire, un entusiasta Nicholas (?!?) nell'avventura, ed estendiamo l'invito ai Valops e all'artistico Denis.
Domenica mattina il ritrovo della combriccola è tutt'altro che mattiniero, e, poco dopo le nove siamo in strada in direzione della Val Pesarina. Le prealpi appaiono coperte dalle nuvole, ma verso l'interno ci appare l'azzurro del cielo a guidarci, saliamo il Canale di Gorto e in fondo ci appaiono, ammantati di bianco il Coglians e la Chianevate, mentre fanno capolino da dietro la cima del Crostis.
Imbocchiamo la Val Pesarina e attraversiamo l'omonimo torrente sul Ponte Arceons, percorrendo la carrareccia lungo il torrente per un paio di chilometri, lasciando le auto poco prima del divieto.
Con Denis ci sono pure Luca e Dario, che sulle spalle sembra avere la borsa di Mary Poppins: dal minuscolo zainetto più tardi usciranno filoni di pane, prosciutto, un tagliere... ... e un bottiglione di nero!
La forestale sale lentamente nel bosco, e tra gli alti abeti filtrano i raggi di un tiepido sole d'autunno, tralasciamo il sentiero che taglia alcuni tornanti, e proseguiamo tra fitte chiacchiere e improvvisi silenzi lungo la strada che ci porta a casera Palabona, dove un chiaro "RISPETTO PER FAVORE" ci introduce nelle sue stanze spoglie.
Saliamo ancora, e tra gli alberi si iniziano a indovinare gli spazi aperti che ci preannunciano la Ielma di sotto. Con il diradarsi del bosco, si aprono begli scorci sulla valle e sulle cime tutt'intorno.
Arrivando a Ielma di sotto ci sorprende un odore di stalla e di affumicato, nonostante la stagione avanzata la casera è ancora monticata, ci sono alcune mucche e le capre al pascolo. All'interno il malgaro è intento ad affumicare le ricotte, fuori tre cani stanno a godersi il sole sul ciottolato delle stalle. Claudio e Luca si fermano a prendere del formaggio, e dopo qualche chiacchiera col malgaro proseguiamo per Ielma di Sopra. La strada continua dolce atttaverso i pascoli e in breve arriviamo nella conca sotto forcella Ielma, dove è situata la casera.
Poco oltre il complesso malghivo c'è un tavolo con le panche in legno, perfetto per pranzare, godersi il sole e il contenuto dello zaino di Mary "Dario" Poppins!
Il montasio che abbiamo portato per pranzo si esalta col sapore vivo del vino fatto in casa da Dario: il profumo che sale dal bicchiere mi porta violentemente in mente il ricordo di mio nonno Gabriele.
Il lavoro nei campi, il momento della vendemmia, la torchiatura nel cortile di casa. La sua voce che mi invitava in cantina, quando passavo di là, finito il lavoro: "bevitu un taj?".
Le tante volte che passavano i sui amici a trovarlo, e, entrando dal portone, vedevo la porta della cantina aperta, la nonna Liliana che mi diceva " và, và, a son là".
E varcando quella soglia quel profumo d'uva che si spandeva nell'aria, le parole, talvolta accese, mai violente, parlando di mille cose, dall'Udinese, al prezzo del mais, alla politica, al vino dell'ospite. E quanti personaggi: Feo di Bean, Il Diretor dal circul, l'Enologo, Baldas, il zio Italo e tanti altri. Alcuni non ci sono più, altri quando li incontro si ricordano della generosità di Gabrièl, del suo buon cuore, e che "purcitars" come lui non c'è nè più!
Le risate della compagnia mi riportano a Ielma, mentre Denis e Luca fanno spuntare due vasetti di nutella, che trovano degna compagnia in pane e grissini. Maria Vittoria guarda con gola noialtri che ci impegnamo a far sparire la cremosa golosità, e dopo un paio di "non posso, non dovrei", cede alle lusinghe di un grissino affogato nella nutella.
Ritornati all'ordine iniziamo la lenta discesa, e mentre scendiamo parlottando, il sapore del vino mi porta ancora indietro di qualche anno: ai ricordi del nonno si aggiungono quelli di mia nonna paterna, Arduina: seduta in poltrona, vicino la porta finestra, la vedo ancora alzare gli occhi, piccoli dietro le spesse lenti, dai ferri da maglia e chiedermi "vatu in montagne doman?".
Il cielo del giorno dei Morti si veste di grigio, quasi a sottolineare il ricordo di chi non c'è più, ma nell'intimo li sento ancora vivi e forti, accanto a me.
Come il sapore di quel vino. Il gusto del ricordo.
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