Dò spazio a pensieri legati ad una vicenda , che come molti ho seguito da vicino. Si potrebbe dire che, come tanti, l'ho subita, tanto è stato il martellamento mediatico che le si è scatenato attorno. Mi riferisco alla sfortunata avventura di tre amici alpinisti italiani . Perchè di questo si trattava, prima che si perdesse il senso della misura e del rispetto, lanciando la sorte di questi ragazzi nel piatto di pastasciutta dell'italiano medio ogni mezzogiorno e sera.
Sia chiaro, la vicenda lo vissuta con partecipazione accorata e con il cuore angosciato, cercando di saperne quanto di più si poteva attraverso la rete (Montagna.tv in questo è stata eccezzionale), ma restando disgustato ed esterefatto quando vedevo un qualsiasi telegiornale di quei giorni.
Ma come? Berlusconi e Veltroni all'improvviso non avevano niente da dire?
Nessuna velina che la dava a destra e a manca in spiaggia?
Il Billionaire non aveva ancora aperto?
No, c'era solo l"operazione di soccorso" sul Nanga Parbat.
E sopprattutto c'era chi spargeva carriolate di verità (presunte) e giudizi (su che basi? boh!) su questa vicenda. E si che c'era Da Polenza a cui si poteva chiedere, senza problemi.
Qui ho iniziato a dare di stomaco.
Hanno parlato di operazione di soccorso, ma alla fin fine non c'erano da portare feriti a valle. Alla fine hanno dato un passaggio a due alpinisti provati, che comunque ce l'han fatta da soli a uscirne.
Due amici, Walter e Simon, che hanno perso drammaticamente un amico a compagno di salita e si sono trovati nella situazione di poter uscire dal dramma solo salendo e continuando la salita, continuando quella via nuova che avevano progettato con Karl. Da soli.
Ho vissuto la morte in montagna. Qualche anno fa durante una salita in Falzarego la cordata che ci precedeva ha avuto un incidente. Il primo è volato giù fracassandosi la testa. Sono stato il primo a soccorrerlo, ma non c'era niente da fare, e non è stato un bel momento. Ancor peggio è stato vedere le condizioni dell'amico, incolume, disperato e fuori di se.
Durante questa vicenda questo episodio della mia vita mi è tornato in mente, e ho pensato alle condizioni dei ragazzi sul Nanga Parbat.
Ho avuto avuto esperienza d'alta quota e ricordo la fatica dopo i 6000 come si sente.
Sommando la stanchezza fisica e quella psicologica, aggiungendoci 11 giorni in parete e una via di fuga obbligata verso l'alto su di una parete inviolata, la Rakhiot del colosso himalayano, Nones e Kehrer hanno compiuto un'impresa ai limiti per tirarsene fuori.
E dai giornalisti cosa vien fuori? Viene fuori che si parla di un soccorso costoso, che probabilmente toccherà le tasche dei contribuenti.
Ma a questi personaggi non viene in mente che chi si imbarca in un'avventura di questo tipo uno straccio di assicurazione la stipula? Che non si lancia allo sbaraglio sulle barricate? Probabilmente si, ma fa più effetto scrivere e parlare di tre pazzi che rischiano la vita per l'inutile in culo al mondo, perchè non san come far passare il tempo e in più ci costano soldi perchè si va là a salvarli (per la precisione Mondinelli e soci son andati là a proprie spese a cercare di aiutare gli italiani).
Ma nessuno ha pensato di chiedersi cosa diavolo han passato questi due? Alla tenacia hanno avuto e che li ha riportati a casa? No, o almeno molto pochi.
Ciliegina sulla torta.
Al rientro in italia, in aereoporto alle due di notte, conferenza stampa. Il genio giornalistico di turno chiede: "Tornerete sul Nanga Parbat?"
Ma che cavolo di domanda è??
Non vale la pena arrabbiarsi. Siamo alpinisti e destinati all'incomprensione.
Salvarci costa al cittadino.La Polizia allo stadio no. Anzi, la si può pure picchiare, tanto inizian sempre loro.